TUMORI:
LA QUALITÀ DI VITA È ESCLUSA DAL 47% DEGLI STUDI CLINICI. UN PATTO
OSPEDALE-TERRITORIO PER AFFRONTARE I NUOVI BISOGNI DEI PAZIENTI
Una
revisione di 446 sperimentazioni pubblicata su “Annals of Oncology” ha
evidenziato che circa la metà dei trial non considera questi aspetti. La
Presidente Stefania Gori: “Se trascurati, compromettono l’adesione alle
terapie”. Nel primo progetto per intercettare i piccoli disturbi
siglata l’intensa fra oncologi, medici di famiglia e farmacisti.
Roma,
(informazione.it - comunicati stampa - salute e benessere)
La qualità di vita delle persone colpite da tumore è
ancora trascurata. I clinici affrontano raramente questo aspetto e
pochi pazienti ne parlano con il medico. Non solo. Nel 47% degli studi
la qualità di vita è esclusa dai criteri per valutare l’efficacia di un
trattamento. Il risultato emerge da una revisione sistematica pubblicata
su Annals of Oncology (che ha considerato 446 sperimentazioni su 11
riviste scientifiche internazionali tra il 2012 e il 2016). Spossatezza,
nervosismo, difficoltà ad addormentarsi, lieve dissenteria,
mancanza di appetito, gonfiore e secchezza vaginale sono piccoli
fastidi molto frequenti fra i pazienti oncologici, in grado di
peggiorare la qualità di vita. Per migliorare la consapevolezza di tutte
le figure coinvolte nel percorso di cura, Fondazione AIOM e AIOM
(Associazione Italiana di Oncologia Medica) hanno realizzato il progetto
nazionale “I nuovi bisogni del paziente oncologico e la sua qualità di
vita”, presentato al XX Congresso nazionale della Società scientifica in
corso a Roma.
“Nel 2018, sono quasi 3 milioni e quattrocentomila gli italiani che
vivono dopo una diagnosi di tumore, pari al 6% dell’intera popolazione –
spiega Stefania Gori, Presidente nazionale AIOM e Direttore
dipartimento oncologico, IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria-Negrar
-. È un vero e proprio ‘esercito’ di persone che presenta nuove esigenze
a cui il sistema deve saper rispondere. Disturbi che, all’apparenza,
possono sembrare banali non sono tali per chi li vive in prima persona.
La loro sottovalutazione può compromettere l’adesione ai trattamenti e
l’efficacia delle cure, come evidenziato da uno studio presentato
recentemente al Congresso europeo di Oncologia Medica, che ha preso in
considerazione 1.799 donne in premenopausa affette da carcinoma della
mammella ai primi stadi e sottoposte a terapia ormonale. I ricercatori
hanno indagato l’aderenza alla terapia analizzando i livelli del farmaco
nel sangue delle pazienti. È emerso che una donna su sei non segue la
terapia ormonale come indicato, aumentando così il rischio di sviluppare
metastasi e recidive. Vanno individuati i fattori coinvolti nella non
aderenza, tra cui la comparsa di effetti collaterali che vanno dalla
secchezza vaginale alle vampate fino ai dolori articolari e muscolari”.
“Con questo progetto – sottolinea Fabrizio Nicolis, presidente di
Fondazione AIOM -, vogliamo consigliare un patto fra ospedale e
territorio per mettere in rete i professionisti
che seguono il paziente nell’intero percorso di cura e che possono
‘intercettare’ subito questi bisogni: oncologi, medici di famiglia e
farmacisti. In diverse neoplasie
la sopravvivenza aumenta in modo significativo e gli effetti
collaterali diminuiscono e si modificano. Basta pensare che la
sopravvivenza a cinque anni dalla diagnosi raggiunge il 91% nel tumore
della prostata e l’87% nella mammella. Questa nuova realtà impone la
necessità di indagare, analizzare e comprendere i nuovi bisogni dei
pazienti in modo che possa migliorare la loro qualità di vita. In
particolare, vanno poste le condizioni perché da un lato il paziente, i
suoi familiari e i caregiver esprimano i nuovi bisogni e, dall’altro,
gli specialisti e le varie figure professionali coinvolte interagiscano
con la persona colpita dal cancro attrezzandosi al meglio. Il rapporto oncologo/paziente
infatti non è più sufficiente: nella gestione della filiera quotidiana
della persona colpita dalla malattia possono e devono intervenire anche
altre figure, quali il medico di famiglia e il farmacista”.
Il progetto è iniziato lo scorso febbraio con la realizzazione di
quattro sondaggi condotti per scattare una fotografia sulla
consapevolezza sul tema delle figure coinvolte (pazienti, oncologi,
medici di famiglia e farmacisti): solo il 57% dei pazienti riferisce al
medico i piccoli disturbi legati alla malattia o alle terapie, contro il
98% che affronta con l’oncologo gli effetti collaterali ritenuti
rilevanti. Il 39% degli oncologi evidenzia la sottovalutazione da parte
degli stessi clinici di questi disturbi, che per il 52% possono
influenzare in senso negativo l’adesione ai trattamenti. “Il 70% delle
donne con tumore del seno va incontro ad atrofia vaginale in seguito
alle terapie ormonali utilizzate per combattere la malattia – afferma la
Presidente Gori -. E il problema interessa tutte le pazienti operate
per cancro dell’ovaio, proprio a causa della rimozione dell’organo. Un
disturbo che può avere un impatto negativo sulla qualità di vita: i
rapporti sessuali diventano impossibili e le difficoltà nella minzione
spesso compromettono le relazioni sociali. A oggi, però, non abbiamo
dati relativi alle problematiche sessuali che si registrano tra i
pazienti oncologici italiani. Nel mondo anglosassone, invece, questi
aspetti sono già stati analizzati. Uno studio australiano su oltre 1.000
donne ha evidenziato come più del 70% delle pazienti con carcinoma
della mammella abbia presentato problemi sessuali nei due anni
successivi alla diagnosi: la maggior parte degli effetti collaterali
sessuali viene tuttavia sotto-riconosciuta e sotto-riportata dai medici.
Un altro studio, realizzato nel mondo anglosassone, ha dimostrato che
solo il 25% dei medici stila una storia sessuale del paziente: oltre il
50% delle persone con problemi sessuali non chiede aiuto ai medici e,
tra questi, solo la metà trova assistenza adeguata. Da qui l’importanza
di questo progetto, che per la prima volta inaugura un percorso di
attenzione nei confronti dei nuovi bisogni del paziente oncologico”.
Nel sondaggio realizzato fra i medici di medicina generale,
per l’82% dei clinici è aumentata l’attenzione delle persone colpite
dal cancro nei confronti dei piccoli disturbi. “Spesso i pazienti li
percepiscono come un possibile segnale del ritorno del tumore e ne sono
molto spaventati – spiega Claudio Cricelli, presidente SIMG (Società
Italiana di Medicina Generale e delle Cure Primarie) –. Inoltre la
comunicazione con la medicina del territorio si interrompe durante il
percorso oncologico in ospedale, per riprendere solo dopo la fase acuta
della malattia. La chiave di volta è costituita da una maggiore
collaborazione fra oncologi e medici di famiglia, che questo progetto si
propone di attuare. Va inoltre affrontata la questione
dell’informazione sulle nuove molecoleanticancro
e sugli eventuali effetti collaterali a breve, medio e lungo termine. I
medici di famiglia non sempre li conoscono, perché non possono
prescrivere i nuovi farmaci. Se i medici di medicina generale non
conoscono le terapie praticate, gli effetti collaterali, gli esami da
eseguire, la diagnostica per immagini e la prognosi, non si può
pretendere che effettuino la presa in carico di questi pazienti.
Un’esperienza interessante è quella promossa in Toscana:
è stato creato un tavolo di lavoro con l’Istituto Toscano Tumori sul
follow up del paziente a 5 e 10 anni dalla diagnosi. Stiamo definendo un
protocollo, un documento dettagliato con cui il centro specialistico
informa il medico di famiglia sulle terapie somministrate nei 10 anni
precedenti e sugli eventuali effetti collaterali”.
“La creazione di un percorso strutturato fra oncologi, medici di
famiglia e farmacisti può determinare le condizioni per una reale
reintegrazione dei cittadini colpiti dal cancro nella società e nel
mondo del lavoro - conclude Paolo Vintani, vicepresidente Federfarma Milano
-. Nel percorso formativo dei farmacisti dovrebbe rientrare la
definizione dei piccoli disturbi, anche per arginare la deriva
rappresentata dal frequente ricorso da parte dei malati a metodi privi
di basi scientifiche. In base a un’indagine condotta per l’Istituto dei
Tumori di Milano, è emerso che il 70% delle persone colpite da cancro
che non rientra in protocolli standard rigorosi si rivolge a vie diverse
da quelle proprie della scienza. In questi casi, diventano essenziali
la medicina del territorio e le farmacie, proprio per indirizzare i
pazienti nella giusta direzione”.
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