Tumore al seno “allo stadio 0”, alcune terapie non riducono la mortalità
Prevenire una recidiva di tumore al seno con la radioterapia o la mastectomia, dopo una diagnosi di un tumore “allo stadio 0”, il carcinoma duttale in situ, non riduce il rischio di mortalità. È la conclusione di uno studio condotto da un gruppo di ricercatori del Women’s College Hospital e della University of Toronto (Canada) pubblicato sulla rivista Jama Oncology. I fattori di rischio che invece fanno aumentare il rischio di morte per tumore al seno sono l’età della diagnosi, l’etnia e le caratteristiche del tumore stesso.
La ricerca canadese riapre una questione piuttosto dibattuta, ovvero il trattamento del carcinoma duttale in situ (DCIS) o tumore al seno “allo stadio 0”. «Questa è la forma meno aggressiva e non invasiva del tumore della mammella, che ne rappresenta un possibile precursore. Il carcinoma duttale in situ, per definizione, non dovrebbe dare metastasi a distanza, in quanto confinato all’interno delle strutture mammarie (i dotti, dove viene veicolato il latte verso l’esterno) e quindi non a contatto di vasi linfatici ed ematici attraverso i quali si diffonde la controparte invasiva e aggressiva del tumore mammario, capace quindi di metastatizzare», spiega il dottor Andrea Sagona , senologo, ginecologo e ostetrico di Humanitas.
Lo studio canadese ha preso in esame i dati di oltre 100mila donne americane che hanno ricevuto una diagnosi di carcinoma duttale in situ con una età media di 54 anni. A distanza di vent’anni la mortalità per tumore al seno è stata del 3,3%: in questo gruppo il rischio di morire per tumore al seno è quasi due volte più alto di quello della popolazione generale (comunque piuttosto basso).
All’interno della popolazione di riferimento, però, questo rischio è maggiore se l’età della diagnosi di DCIS era inferiore ai 35 anni, se le donne sono afroamericane e se il carcinoma presenta particolari caratteristiche, come ad esempio maggiori dimensioni. «Nel lavoro non sono state riportate le terapie mediche farmacologiche e bisognerebbe capire quante donne avessero effettivamente forme pure di DCIS e non già dei focolai di microinfiltrazione, non evidenziati all’esame istologico, soprattutto in caso di mastectomia dove viene eseguito un campionamento esteso delle lesioni, ma non sempre completo», nota l’esperto.
Ancora, dice la ricerca, il rischio di mortalità da tumore al seno aumenta se la donna è colpita da una recidiva di tipo invasivo, ma prevenire la comparsa di questa recidiva con la radioterapia, a seguito di un intervento chirurgico conservativo, sembrerebbe non diminuire la mortalità nell’arco di 10 anni. Le pazienti sottoposte a un trattamento del genere hanno meno probabilità di sviluppare una forma di tumore al seno di tipo invasivo, ma questo intervento non incide sul rischio specifico di mortalità.
La ricerca canadese riapre una questione piuttosto dibattuta, ovvero il trattamento del carcinoma duttale in situ (DCIS) o tumore al seno “allo stadio 0”. «Questa è la forma meno aggressiva e non invasiva del tumore della mammella, che ne rappresenta un possibile precursore. Il carcinoma duttale in situ, per definizione, non dovrebbe dare metastasi a distanza, in quanto confinato all’interno delle strutture mammarie (i dotti, dove viene veicolato il latte verso l’esterno) e quindi non a contatto di vasi linfatici ed ematici attraverso i quali si diffonde la controparte invasiva e aggressiva del tumore mammario, capace quindi di metastatizzare», spiega il dottor Andrea Sagona , senologo, ginecologo e ostetrico di Humanitas.
Cosa prevede abitualmente il trattamento di questa forma di tumore al seno?
«Queste pazienti – risponde lo specialista – vengono sottoposte generalmente a quadrantectomia e radioterapia, più o meno biopsia del linfonodo sentinella in base all’estensione e al grado istologico, o, nelle forme più estese, a mastectomia. Lo screening ha portato alla luce casi di DCIS che prima non venivano diagnosticati (si è passati dal 3% al 25-30% dei tumori evidenziati alla mammografia di screening), che però non è stato accompagnato da una conseguente riduzione della incidenza di carcinoma mammario invasivo, come è accaduto invece per altri tipi di tumori, quali il carcinoma del colon o della cervice ».Lo studio canadese ha preso in esame i dati di oltre 100mila donne americane che hanno ricevuto una diagnosi di carcinoma duttale in situ con una età media di 54 anni. A distanza di vent’anni la mortalità per tumore al seno è stata del 3,3%: in questo gruppo il rischio di morire per tumore al seno è quasi due volte più alto di quello della popolazione generale (comunque piuttosto basso).
Rischio di mortalità da tumore al seno aumenta se la donna è colpita da recidiva di tipo invasivo
«Da qui è sorta la domanda se effettivamente serva sottoporre tutte le pazienti affette da DCIS a interventi chirurgici con o senza radioterapia, oppure potrebbero esserci strategie alternative (farmacologiche o di intervento sulle abitudini alimentari) che potrebbero diminuire il rischio di ammalarsi della forma invasiva di carcinoma. Questo perché il DCIS potrebbe essere interpretabile non come un precursore obbligato della forma invasiva, ma essere solo un possibile fattore di rischio oppure non essere pericoloso, se non associato ad altri fattori di rischio, quali abitudini alimentari errate, terapie ormonali etc.», sottolinea il dottor Sagona.All’interno della popolazione di riferimento, però, questo rischio è maggiore se l’età della diagnosi di DCIS era inferiore ai 35 anni, se le donne sono afroamericane e se il carcinoma presenta particolari caratteristiche, come ad esempio maggiori dimensioni. «Nel lavoro non sono state riportate le terapie mediche farmacologiche e bisognerebbe capire quante donne avessero effettivamente forme pure di DCIS e non già dei focolai di microinfiltrazione, non evidenziati all’esame istologico, soprattutto in caso di mastectomia dove viene eseguito un campionamento esteso delle lesioni, ma non sempre completo», nota l’esperto.
Ancora, dice la ricerca, il rischio di mortalità da tumore al seno aumenta se la donna è colpita da una recidiva di tipo invasivo, ma prevenire la comparsa di questa recidiva con la radioterapia, a seguito di un intervento chirurgico conservativo, sembrerebbe non diminuire la mortalità nell’arco di 10 anni. Le pazienti sottoposte a un trattamento del genere hanno meno probabilità di sviluppare una forma di tumore al seno di tipo invasivo, ma questo intervento non incide sul rischio specifico di mortalità.
Commenti