Cancro al seno: più casi, più cure
E’ in aumento il numero delle donne malate ma grazie alla prevenzione diminuisce la mortalità
Alla fine dello spettacolo Barbara Mariani, impiegata milanese che s’è trasformata in attrice per raccontare la sua vittoria contro i due tumori al seno che l’hanno colpita a 31 e a 39 anni, getta alle spalle lo scialle nero che s’è tenuta addosso per due ore come simbolo della morte. Lo fa durante la performance teatrale «E ora danzo la vita», portata in giro per l’Europa da dieci malate di cancro per raccontare la loro lotta contro la malattia. Il sipario si chiude, ma giù dal palcoscenico altre 400 mila donne combattono la stessa battaglia. È il numero choc oggi in Italia delle malate di tumore al seno, con giornate divise tra le cure che adesso danno possibilità di guarire fino all’88% dei casi e i conti da fare tornare a fine mese.
Curarsi per il cancro al seno, infatti, costa di fatto nove stipendi: per visite specialistiche ed esami utili soprattutto a bypassare le liste d’attesa — sempre più lunghe per l’aumento del numero di pazienti — le donne arrivano a spendere di tasca propria fino a 3.299 euro, altri 8.663 li perdono per la riduzione del reddito causata dalla malattia. Poi ci sono i costi per le trasferte (273 euro) e quelli per gli aiuti domestici (730). Una cifra impegnativa da sostenere per numerose famiglie. Lo denuncia l’ultimo rapporto della Lega italiana per la lotta contro i tumori (Lilt) che fotografa i dati del cancro femminile più diffuso: solo a livello italiano ogni ora ci sono 4 nuovi casi (quasi 40 mila l’anno). L’incidenza della malattia è in crescita: il tumore al seno rappresenta il 28,9% complessivo delle diagnosi di cancro contro il 26,7% degli Anni Novanta.
Le morti, però, sono in diminuzione: 9.045 nel 2007 contro le 11.309 del 2002. «L’arma più efficace per sconfiggerlo è la diagnosi precoce con l’ecografia e soprattutto con la mammografia— spiega Francesco Schittulli, senologo-chirurgo e presidente della Lilt —. Uno studio che abbiamo promosso insieme con il Ministero della Salute, recentemente pubblicato sul British Journal of Cancer, dimostra che la mortalità si dimezza nelle donne che annualmente effettuano gli esami». Per spingere a fare i controlli i medici del Dipartimento oncologico del Policlinico universitario di Modena hanno addirittura dato vita alla fiction dal titolo «La storia di Paula», dove in un cartone animato in 3D di 40 minuti si racconta passo dopo passo il percorso di una donna malata (il dvd è ora distribuito nei reparti d’ospedale e sul web). Chi è costretta a confrontarsi con la malattia a volte incappa anche in difficoltà economiche. Di qui l’indagine della Lilt volta verificare le spese sostenute di tasca propria dalle donne operate di tumore al seno durante i due anni e mezzo in media di cure.
Preso in considerazione un campione di 292 pazienti finite sotto i ferri tra il 2003 e il 2008. Anche se l’86% complessivo dei costi è a carico del servizio sanitario nazionale, visite specialistiche, esami, fisioterapia, farmaci, eventuali interventi di chirurgia ricostruttiva e acquisto di parrucche e reggiseni ad hoc mettono a dura prova i risparmi. Soprattutto in tempi di crisi. Tra la diagnosi e l’intervento trascorrono in media quattro settimane. Ma davanti alla malattia anche l’attesa di un minuto sembra insostenibile. Così almeno sei malate su dieci prenotano visite a pagamento (per un totale di 473 euro a testa). Il desiderio è di farsi visitare da un medico di fiducia, magari solo per avere un secondo parere. Non solo: una donna su tre fa Tac, risonanzemagnetiche, eccetera, a spese proprie (per complessivamente 537 euro). È un modo per avere un appuntamento in tempi brevi (o percepiti come accettabili dalle malate, pressate dall’angoscia).
Bisogna aggiungere, poi, i costi sostenuti per gli spostamenti e gli aiuti domestici. Per la parrucca le donne sborsano anche 330 euro. Ma non finisce qui. Oltre alle spese di tasca propria ci sono i guadagni mancati a causa della malattia: per una lavoratrice su due la busta paga (da 1.425 euro in media) si riduce del 44% (per i cambiamenti dell’orario d’ufficio, le modifiche al ritmo di lavoro o per la necessità di dover cambiare posto). Nei due anni e mezzo di terapie, insomma, tra costi sostenuti e soldi persi si arriva a quota 12.965 euro per chi lavora, 9.264 per le altre. Tra le richieste più diffuse avanzate dalle malate di tumore al seno, quella di avere corsie preferenziali per i controlli medici almeno nella fase della diagnosi. «La principali difficoltà di chi si ammala di tumore oggi è quella di riuscire a portare avanti, insieme, la vita lavorativa e il diritto di accesso alle cure — sottolinea Schittulli —. Anche se il nostro sistema sanitario è tra i migliori del mondo perché gratuito, in troppe devono pagare costi aggiuntivi di tasca propria, altre addirittura rischiano di perdere il lavoro ».
La cosiddetta legge Biagi prevede quattro importanti facilitazioni: visite mediche senza dover ricorrere a ferie o permessi, trasferimenti in ruoli più adatti al proprio stato di salute, periodi anche lunghi di aspettativa non retribuita, part-time provvisorio. «Ma in molte non conoscono i propri diritti—dice Schittulli —. I centralini della Lilt ricevono centinaia di chiamate in proposito». Nel suo messaggio durante la Giornata nazionale per la ricerca sul cancro il ministro Maurizio Sacconi ha ammesso: «È necessario ridisegnare politiche sociali e del lavoro adeguate La testimonianza ad assicurare effettive condizioni di tutela per i lavoratori affetti da patologie oncologiche». A fine luglio il sottosegretario alla Salute Ferruccio Fazio si è espresso, invece, contro le liste d’attesa: «Per abbatterle concretamente occorrerebbero finanziamenti che non sono disponibili. Ma abbiamo stabilito 4 livelli di priorità per i big killer, come le malattie di cuore e i tumori: prestazioni urgenti da erogare entro 72 ore; prestazioni differibili entro 10 giorni; prestazioni il cui rinvio non interferisce con le necessità di diagnosi e cura da assicurare entro 30 giorni; prestazioni rinviabili entro 60 giorni».
Le donne (e non solo) aspettano. Di difficile diagnosi e quindi curabili con difficoltà i cosiddetti tumori rari. A Milano si sono riuniti 200 clinici e specialisti per parlarne, alla presenza del sottosegretario Ferruccio Fazio. «I tumori rari, in realtà, sono molti. Sono pochi i casi per ciascuno, ma sono tanti i tumori rari, e dunque i pazienti sono numerosi globalmente. In pratica, i colpiti possono giungere a un quinto dei casi totali di neoplasia maligna. E il problema è socialmente rilevante, oltre naturalmente a costituire una priorità per motivi etici perché i pazienti con malattie rare non possono essere discriminati», dice Paolo Casali, responsabile del trattamento medico dei Sarcomi dell’adulto dell’Istituto nazionale dei tumori di Milano. Altro problema: la definizione. Si utilizza la stessa che vale per le malattie rare, basata sulla prevalenza: sono rare le malattie la cui frequenza nella popolazione è inferiore a 50 casi ogni 100.000 abitanti. Perché un problema? «Perché —avverte Casali —in tal modo tra i tumori considerati rari ne sono compresi alcuni che rari non sono. E c’è il rischio di non focalizzarsi su quelli realmente meno frequenti. La definizione va rivista in base all’incidenza ». Fondamentale è la creazione della Rete nazionale dei tumori rari, con la collaborazione di specialisti e aziende, come la Novartis, impegnate nello studio di cure adatte a queste malattie. E importante è la circolazione di corrette informazioni, anche via Internet, per un rapporto continuo con i pazienti affetti da tumori rari.
Simona Ravizza
15 novembre 2008
Dal Corriere della sera
E’ in aumento il numero delle donne malate ma grazie alla prevenzione diminuisce la mortalità
Alla fine dello spettacolo Barbara Mariani, impiegata milanese che s’è trasformata in attrice per raccontare la sua vittoria contro i due tumori al seno che l’hanno colpita a 31 e a 39 anni, getta alle spalle lo scialle nero che s’è tenuta addosso per due ore come simbolo della morte. Lo fa durante la performance teatrale «E ora danzo la vita», portata in giro per l’Europa da dieci malate di cancro per raccontare la loro lotta contro la malattia. Il sipario si chiude, ma giù dal palcoscenico altre 400 mila donne combattono la stessa battaglia. È il numero choc oggi in Italia delle malate di tumore al seno, con giornate divise tra le cure che adesso danno possibilità di guarire fino all’88% dei casi e i conti da fare tornare a fine mese.
Curarsi per il cancro al seno, infatti, costa di fatto nove stipendi: per visite specialistiche ed esami utili soprattutto a bypassare le liste d’attesa — sempre più lunghe per l’aumento del numero di pazienti — le donne arrivano a spendere di tasca propria fino a 3.299 euro, altri 8.663 li perdono per la riduzione del reddito causata dalla malattia. Poi ci sono i costi per le trasferte (273 euro) e quelli per gli aiuti domestici (730). Una cifra impegnativa da sostenere per numerose famiglie. Lo denuncia l’ultimo rapporto della Lega italiana per la lotta contro i tumori (Lilt) che fotografa i dati del cancro femminile più diffuso: solo a livello italiano ogni ora ci sono 4 nuovi casi (quasi 40 mila l’anno). L’incidenza della malattia è in crescita: il tumore al seno rappresenta il 28,9% complessivo delle diagnosi di cancro contro il 26,7% degli Anni Novanta.
Le morti, però, sono in diminuzione: 9.045 nel 2007 contro le 11.309 del 2002. «L’arma più efficace per sconfiggerlo è la diagnosi precoce con l’ecografia e soprattutto con la mammografia— spiega Francesco Schittulli, senologo-chirurgo e presidente della Lilt —. Uno studio che abbiamo promosso insieme con il Ministero della Salute, recentemente pubblicato sul British Journal of Cancer, dimostra che la mortalità si dimezza nelle donne che annualmente effettuano gli esami». Per spingere a fare i controlli i medici del Dipartimento oncologico del Policlinico universitario di Modena hanno addirittura dato vita alla fiction dal titolo «La storia di Paula», dove in un cartone animato in 3D di 40 minuti si racconta passo dopo passo il percorso di una donna malata (il dvd è ora distribuito nei reparti d’ospedale e sul web). Chi è costretta a confrontarsi con la malattia a volte incappa anche in difficoltà economiche. Di qui l’indagine della Lilt volta verificare le spese sostenute di tasca propria dalle donne operate di tumore al seno durante i due anni e mezzo in media di cure.
Preso in considerazione un campione di 292 pazienti finite sotto i ferri tra il 2003 e il 2008. Anche se l’86% complessivo dei costi è a carico del servizio sanitario nazionale, visite specialistiche, esami, fisioterapia, farmaci, eventuali interventi di chirurgia ricostruttiva e acquisto di parrucche e reggiseni ad hoc mettono a dura prova i risparmi. Soprattutto in tempi di crisi. Tra la diagnosi e l’intervento trascorrono in media quattro settimane. Ma davanti alla malattia anche l’attesa di un minuto sembra insostenibile. Così almeno sei malate su dieci prenotano visite a pagamento (per un totale di 473 euro a testa). Il desiderio è di farsi visitare da un medico di fiducia, magari solo per avere un secondo parere. Non solo: una donna su tre fa Tac, risonanzemagnetiche, eccetera, a spese proprie (per complessivamente 537 euro). È un modo per avere un appuntamento in tempi brevi (o percepiti come accettabili dalle malate, pressate dall’angoscia).
Bisogna aggiungere, poi, i costi sostenuti per gli spostamenti e gli aiuti domestici. Per la parrucca le donne sborsano anche 330 euro. Ma non finisce qui. Oltre alle spese di tasca propria ci sono i guadagni mancati a causa della malattia: per una lavoratrice su due la busta paga (da 1.425 euro in media) si riduce del 44% (per i cambiamenti dell’orario d’ufficio, le modifiche al ritmo di lavoro o per la necessità di dover cambiare posto). Nei due anni e mezzo di terapie, insomma, tra costi sostenuti e soldi persi si arriva a quota 12.965 euro per chi lavora, 9.264 per le altre. Tra le richieste più diffuse avanzate dalle malate di tumore al seno, quella di avere corsie preferenziali per i controlli medici almeno nella fase della diagnosi. «La principali difficoltà di chi si ammala di tumore oggi è quella di riuscire a portare avanti, insieme, la vita lavorativa e il diritto di accesso alle cure — sottolinea Schittulli —. Anche se il nostro sistema sanitario è tra i migliori del mondo perché gratuito, in troppe devono pagare costi aggiuntivi di tasca propria, altre addirittura rischiano di perdere il lavoro ».
La cosiddetta legge Biagi prevede quattro importanti facilitazioni: visite mediche senza dover ricorrere a ferie o permessi, trasferimenti in ruoli più adatti al proprio stato di salute, periodi anche lunghi di aspettativa non retribuita, part-time provvisorio. «Ma in molte non conoscono i propri diritti—dice Schittulli —. I centralini della Lilt ricevono centinaia di chiamate in proposito». Nel suo messaggio durante la Giornata nazionale per la ricerca sul cancro il ministro Maurizio Sacconi ha ammesso: «È necessario ridisegnare politiche sociali e del lavoro adeguate La testimonianza ad assicurare effettive condizioni di tutela per i lavoratori affetti da patologie oncologiche». A fine luglio il sottosegretario alla Salute Ferruccio Fazio si è espresso, invece, contro le liste d’attesa: «Per abbatterle concretamente occorrerebbero finanziamenti che non sono disponibili. Ma abbiamo stabilito 4 livelli di priorità per i big killer, come le malattie di cuore e i tumori: prestazioni urgenti da erogare entro 72 ore; prestazioni differibili entro 10 giorni; prestazioni il cui rinvio non interferisce con le necessità di diagnosi e cura da assicurare entro 30 giorni; prestazioni rinviabili entro 60 giorni».
Le donne (e non solo) aspettano. Di difficile diagnosi e quindi curabili con difficoltà i cosiddetti tumori rari. A Milano si sono riuniti 200 clinici e specialisti per parlarne, alla presenza del sottosegretario Ferruccio Fazio. «I tumori rari, in realtà, sono molti. Sono pochi i casi per ciascuno, ma sono tanti i tumori rari, e dunque i pazienti sono numerosi globalmente. In pratica, i colpiti possono giungere a un quinto dei casi totali di neoplasia maligna. E il problema è socialmente rilevante, oltre naturalmente a costituire una priorità per motivi etici perché i pazienti con malattie rare non possono essere discriminati», dice Paolo Casali, responsabile del trattamento medico dei Sarcomi dell’adulto dell’Istituto nazionale dei tumori di Milano. Altro problema: la definizione. Si utilizza la stessa che vale per le malattie rare, basata sulla prevalenza: sono rare le malattie la cui frequenza nella popolazione è inferiore a 50 casi ogni 100.000 abitanti. Perché un problema? «Perché —avverte Casali —in tal modo tra i tumori considerati rari ne sono compresi alcuni che rari non sono. E c’è il rischio di non focalizzarsi su quelli realmente meno frequenti. La definizione va rivista in base all’incidenza ». Fondamentale è la creazione della Rete nazionale dei tumori rari, con la collaborazione di specialisti e aziende, come la Novartis, impegnate nello studio di cure adatte a queste malattie. E importante è la circolazione di corrette informazioni, anche via Internet, per un rapporto continuo con i pazienti affetti da tumori rari.
Simona Ravizza
15 novembre 2008
Dal Corriere della sera
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